Cesaro, nuovi guai. I pm antimafia adesso indagano sul voto di scambio

I magistrati valutano le dichiarazioni del pentito Puca che racconta di aver ricevuto denaro dal deputato di Fi in cambio di voti. Dal carcere i fratelli si sono avvalsi della facoltà di non rispondere

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01/06/2017
CESARO, NUOVI GUAI. I PM ANTIMAFIA ADESSO INDAGANO SUL VOTO DI SCAMBIO

I magistrati valutano le dichiarazioni del pentito Puca che racconta di aver ricevuto denaro dal deputato di Fi in cambio di voti. Dal carcere i fratelli si sono avvalsi della facoltà di non rispondere


Si chiama “voto di scambio” la nuova grana del parlamentare di Fi Luigi Cesaro. È l’ipotesi che la Dda di Napoli potrebbe formulare a suo carico, all’indomani delle catture eccellenti eseguite mercoledì dai carabinieri del Ros, che hanno portato in carcere i fratelli del deputato, Aniello e Raffaele Cesaro.

Entrambi sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa, insieme agli imprenditori accusati di riciclaggio, Antonio Di Guida col cugino Pasquale, e l’ingegnere Oliviero Giannella.

I pm Mariella Di Mauro e Giuseppe Visone, che hanno condotto l’inchiesta sul Pip di Marano, battezzata Prisma, col coordinamento del procuratore antimafia Giuseppe Borrelli, stanno valutando le dichiarazioni del pentito Ferdinando Puca, che racconta di aver ricevuto 10mila euro da Luigi Cesaro in cambio di comparavendita del voto. Non è escluso che il politico di Sant’Antimo possa ricevere un invito a comparire. Ieri, giorno degli interrogatori di garanzia. Ma i Cesaro, difesi dagli avvocati Paolo Trofino, Vincenzo Maiello e Raffaele Quaranta, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, rendendo spontanee dichiarazioni. «Non avevamo bisogno del denaro dei clan», sottolineano i fratelli, rivendicando quei circa «130 milioni di euro depositati» in banca. Mentre dalle intercettazioni, Raffaele Cesaro dice al “socio” Di Guida: «Noi non dobbiamo cacciare soldi, è chiaro?». Intanto nuovi inquietanti capitoli emergono dalle carte di Prisma.

È lo spaccato di un territorio guidato dagli interessi di camorra e politici collusi. Perfino un ex sindaco simbolo, come Mauro Bertini, appare avvolto da rapporti ambigui con i Cesaro. Che raccontano di avergli fatto un lauto «prestito». Su cui ora la Procura vuole vedere chiaro.

Noi Ci sedemmo con loro
Un’intercettazione è ritenuta di particolare importanza dagli inquirenti. È il serrato dialogo tra gli imprenditori Antonio Di Guida, ex assessore provinciale, e Raffaele Cesaro, ritenuti in affari con la camorra milionaria dei Polverino. Qui, per il giudice, i due «affrontano il problema degli accordi con la criminalità organizzata e non a casa abbassano sempre più il tono della voce». Di Guida: «Allora io gli devo dire soltanto: li mettete 9 milioni?». Cesaro: «Noi dobbiamo fare che cosa. Le delibere che come soci noi ci mettiamo i soldi dentro. Ma questo per dimostrare sopra le carte». Di Guida: «Eh però...». Cesaro: «Solo sopra le carte Tonì... allora noi soldi non ne dobbiamo cacciare». Ancora Cesaro: «Tonì non dobbiamo cacciare soldi, è chiaro questo o no?». Poi, annota il gip, «i militari riescono a registrare il riferimento fatto da Cesaro al capoclan di Marano, Polverino, ‘o barone». Cesaro, nella lunga conversazione, dice: «Il fatto con loro io l’ho già fatto... In testa tua io cinquantacinque... dici... pagato, perché ? ‘O barone mi portò... manco pagato il pizzo. Antò, quindi ci sedemmo proprio».

Qui comandano i clan
Da un lato la forza economica e militare del clan, dall’altro il controllo dell’apparato amministrativo. Scrive il gip Francesca Ferri. «I Cesaro sapevano bene di avere realizzato le opere (del Pip, ndr) in dispregio non solo della convenzione, ma anche delle regole urbanistiche e della disciplina vigente.Tutto ciò era stato possibile solo grazie al contributo degli amministratori di Marano». «Illuminante», per il giudice, «del modo in cui è stato gestito il Comune» è la conversazione di Antonio Di Guida, ex assessore provinciale, intercettata sulla sua Bmw. È il 7 agosto 2015. «Ma secondo te, Santelia è stato 13 anni a Marano insieme a Bertinia fare il capo dell’Ufficio Tecnico. Chi ha imperato a Sant’Antimo? Ha imperato la camorra in tutte le maniere, o no? Simeoli, Polverino, i Nuvoletta. Hanno fatto quello che c... volevano loro!». Concludendo: «I Cesaro hanno dato i soldi a Bertini».

Bertini, la lotta e i soldi
Il 14 ottobre 2016, consapevole che l’inchiesta sul Pip di Marano è in piena evoluzione, Aniello Cesaro si presenta ai pm. Si descrive «vittima» di estorsione con i fratelli. Poi racconta dei rapporti con le amministrazioni e svela un dettaglio. «Per il Pip di Marano abbiamo avuto problemi non solo con la camorra, ma forte ostruzionismo dall’ amministrazione». Nel periodo 2009, «l’allora sindaco Bertini e il consigliere regionale Iacolare ci hanno sempre ostacolato». Poi, aggiunge Cesaro, «un giorno nel mio ufficio venne Bertini il quale mi raccontava dei problemi che ebbe con un’azienda: mi chiese un prestito da 50mila euro, che io gli conferii in diverse occasioni e che non mi è stato restituito. Non ho mai chiesto indietro i soldi a Bertini». Poco dopo il giudice, che non crede alla versione di Aniello, riporta il dialogo intercettato all’altro fratello, Raffaele. Che dice a Di Guida: «Mi hanno infranto un sogno... ce lo devo fare vedere io a Bertini... Quello si è preso i soldi da mano a me». Chiosa il gip: «Altro che prestito. Raffaele Cesaro è furioso con l’ex sindaco che ha preso i soldi senza rispettare i patti. Rabbia acutizzata dall’impossibilità di denunciare il Bertini per la “tangente” a lui consegnata , per evitare di essere penalmente coinvolto». Retroscena inquietante o calunnie? Bertini, che è astato ascoltato come teste, non risulta indagato. Ma, per il gip, quelle intercettazioni «sembrerebbero documentare ...